In Togo Coopermondo, insieme a un pool di 6 banche di credito cooperativo e Federcasse, dal 2012 promuove l’agricoltura sostenibile e la finanza inclusiva e popolare. Una delle imprese cooperative che si è creata grazie alla formazione e al sostegno del progetto è la CPJPPAB, che riunisce 1018 giovani agricoltori, di cui un terzo donne. Insieme, coltivano 500 ettari di ananas biologico di varietà pan di zucchero, Dolcetto, che viene esportato in Italia grazie ad Agrintesa e a Brio, le altre imprese partner del progetto.
A novembre 2018 l’ing. Matteo Bichicchi della Cooperativa Edile Appennino CEA ha partecipato a una missione in Togo per conoscere il progetto Dolcetto, all’interno di un programma di volontariato d’impresa sottoscritto tra CEA e Coopermondo. Il programma prevede che la cooperativa metta a disposizione il proprio know-how attraverso la valorizzazione dei suoi dipendenti. Il tecnico specializzato può scegliere di fare un’esperienza di volontariato e seguire un progetto di cooperazione internazionale andando in missione con i cooperanti, condividendo il proprio know-how, creando relazioni umane e ponti con le persone del luogo e riscoprendo i valori fondanti del movimento cooperativo, tra cui la cooperazione tra cooperative.
Abbiamo fatto a Matteo qualche domanda sulla sua esperienza.
Come sei entrato in contatto con Coopermondo e con il progetto dell’ananas Dolcetto?
Da tempo CEA promuove progetti di volontariato d’impresa, che solitamente però si svolgono sul territorio italiano, attorno alle sedi dell’azienda. In questo caso si è deciso di ampliare l’orizzonte; la mia partecipazione è stata un po’ rocambolesca, una settimana prima di partire mi è stato chiesto se avessi voglia e disponibilità a fare questa esperienza e io ho subito accettato.
Io mi occupo del settore depurazione della cooperativa, non conoscevo bene il progetto, ma grazie a Camilla, la direttrice di Coopermondo, e agli altri partner è stato semplice capire quale fossero le necessità e arrivato sul posto è stato presto evidente come indirizzare l’intervento in coerenza con il contesto.
Qual era in particolare l’obiettivo della tua missione in Togo?
La mia esperienza in Togo, che è durata una settimana, ha avuto lo scopo di valutare la fattibilità della costruzione di un centro di raccolta degli ananas, realizzato con un ambiente refrigerato che potesse permettere la conservazione del prodotto. Al momento infatti i frutti vengono trasportati direttamente dai campi all’aeroporto, da dove partono per l’Italia: organizzare meglio questa filiera significa ottimizzare la produttività. Nello specifico, il progetto prevedere la costruzione di un locale di 350 mq con funzione di centro di raccolta e inscatolamento dell’ananas, con attigua sezione dedicata all’alloggiamento di container frigo per la conservazione del prodotto, oltre all’acquisto e la messa a disposizione della cooperativa di adeguati mezzi di trasporto necessari per il trasferimento del prodotto dalle piantagioni al centro e dal centro all’aeroporto per la spedizione finale.
Era la tua prima volta in Africa? Che valore ha avuto per te questa esperienza?
Sì, per me era la prima volta in Africa, oltre che la prima partecipazione a una missione di questo tipo. La forza di questi progetti è il lavoro in gruppo, è fondamentale creare una rete di persone che si confrontano nel prendere le diverse decisioni in tutte le fasi dell’intervento.
Ciò che più mi ha colpito è notare nelle persone, nei cooperanti e nei “cooperati” della coop agricola, una grande volontà di fare e di svilupparsi: vogliono crescere, e non solo per avere maggiori entrate ma per poter sviluppare l’intero territorio, dal punto di vista agricolo e di possibilità per tutti.
Io, che sono un montanaro e abito sull’appenino bolognese, ho ritrovato in Togo l’amore e il rispetto per le proprie radici e per la terra che si coltiva e vive, una visione comune che è il miglior punto di partenza per ottenere obiettivi condivisi.
La cooperazione rappresenta in questo senso una marcia in più, in Italia in molti casi ci si trova tra aziende a farsi una spietata concorrenza quando, ragionando a livello di rete, si otterrebbero molte più soddisfazioni anche nel lavorare quotidiano.
In che modo pensi che la cooperativa italiana possa coinvolgersi maggiormente nelle attività di cooperazione internazionale?
È sicuramente necessario coinvolgere innanzitutto i tecnici “del mestiere”, che abbiano la volontà di creare un progetto economicamente sostenibile partendo dal basso, adattandolo al contesto su cui ci si muove. Nel caso del progetto Dolcetto, in Togo c’è già una realtà sviluppata, quello che si deve fare è implementarla seguendo i consigli e gli stimoli che arrivano dal territorio ma anche da chi ha la visione del mercato, nel nostro caso europeo.
Un altro aspetto su cui l’approccio cooperativo può essere decisivo riguarda una visione d’insieme degli interventi: nelle zone che ho potuto visitare ho trovato un sistema di welfare molto carente, dove l’assistenza sanitaria e l’educazione sono completamente in mano a iniziative private. Noi lavoriamo perché oltre al lato economico e lavorativo, il progetto abbia ricadute positive sull’intera comunità.
E ora?
La progettazione è definita nella sua fase preliminare, ed è stato elaborato un quadro economico di intervento. Siamo riusciti a coinvolgere altre due cooperative del territorio che hanno dato la propria disponibilità a coadiuvarci nell’intervento, e adesso arriva la parte più complicata: riuscire a rientrare all’interno di bandi che possano co-finanziare il progetto. È un lavoro impegnativo dal punto di vista burocratico e amministrativo, e per il quale contiamo sul supporto di Coopermondo: appena si presenterà l’occasione, l’intervento verrà portato a termine. Noi siamo pronti.