Category: Diario di campo

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Sulla via delle conserve da Capo Verde a Pomposa

di Paola Ferrara

Qualcuno comincia a intonare l’inno di Capo Verde perché, oggi 5 luglio, si celebra l’indipendenza dell’arcipelago dal Portogallo. Era il 1975.

Parole di speranza, di fratellanza e di libertà risuonano nel pulmino con cui una dozzina di cooperatori e cooperatrici capoverdiani stanno girando l’Italia centrale insieme a Coopermondo. Si tratta di una delegazione di imprenditori che fa parte del progetto Terra di Valore, finanziato dall’AICS e implementato a Capo Verde da Coopermondo e Cospe e da altri attori locali. Il progetto di cui fanno parte prevede, oltre al sostegno a imprese cooperative femminili e giovanili nel settore agricolo e dell’artigianato, anche lo scambio di pratiche tra i nostri due Paesi.

C’è allegria nel ricordo dell’Indipendenza conquistata dai loro genitori (sono tutti molti giovani) e non mi stupisco perché, pur avendo Capo Verde pagato a caro prezzo la libertà, come tutti i Paesi colonie, c’è orgoglio festoso e riconoscenza per la vita che da allora hanno potuto avere. Mi stupisco invece quando, arrivando agli stabilimenti di Conserve Italia a Pomposa, troviamo ad accoglierci tra le bandiere che sventolano all’ingresso anche quella di Capo verde.

Il gruppo esulta. Cominciano a scattare foto e selfie, partono gli abbracci: un pezzetto di terra natia nel bel mezzo della pianura padana non è cosa di tutti i giorni.

Questo è il quarto giorno di visite per loro: sono già stati in Toscana a conoscere le attività della Latteria Soriano e in provincia di Bologna presso la cooperativa Agrofertil che si occupa di concimi. Tutte imprese aderenti a Confcooperative.

Conserve Italia è un consorzio cooperativo leader nella produzione alimentare e una delle maggiori aziende agroindustriali operanti in Europa. Associa 14.000 produttori agricoli e trasforma oltre 600.000 tonnellate di frutta, pomodoro e vegetali, lavorate in 12 stabilimenti produttivi (9 in Italia, 2 in Francia, 1 in Spagna). Conserve Italia dà lavoro in Italia a circa 3.300 persone e detiene i marchi Cirio, Valfrutta, Yoga, Derby Blue e Jolly Colombani. Una realtà cooperativa tutta italiana che, in quaranta anni di storia, ha assunto una dimensione internazionale collocandosi ai vertici dell’industria conserviera per fatturato, volume di materie prime lavorate e qualità dei prodotti.

Ci guida alla sua scoperta Antonello Chessa, il direttore dello stabilimento.

E una guida serve, oltre che un filo, non solo per capire come e cosa si trasforma in questo posto ma per la sua dimensione e i diversi settori di lavorazione che sembrano labirinti.

Ci fanno indossare cuffiette e camici e si parte.

Antonello spiega ogni passaggio, dall’arrivo dei prodotti da trasformare che, prima di essere indirizzati alle diverse aree vengono stoccati, al confezionamento.

E nello stabilimento assistiamo alla danza dei robot! Macchine, binari, carrelli elevatori, cascate di fagioli, piselli, ceci, e così via. Mi ricorda La fabbrica di cioccolato, solo in quel film avevo visto tanta attività affidata alle sincronie delle macchine. Ci sono anche delle persone, naturalmente, che sovrintendono alle varie fasi e soprattutto intervengono nei casi in cui qualcosa non funzioni.

Vedo i ceci – che amo tanto – tuffarsi a migliaia nei vasetti di vetro che io comprerò in negozio e quasi mi commuovo. Lo stesso avviene con fagioli, lenticchie e piselli.

Purtroppo è ancora presto per il pomodoro quindi non ne vediamo il processo di trasformazione ma un’idea Antonello ce la dà.

Prendiamo appunti, foto, facciamo domande: la delegazione è attenta, cerca di registrare ogni piccola informazione da portare a casa per migliorare il lavoro nelle loro piccole attività.

Finiamo la visita in una sala dove ci offrono succhi di frutta – Yoga e Derby Blu – per ristorarci dal caldo opprimente. E i nostri amici capoverdiani vincono la barriera della lingua, anche aiutata da qualcuno di noi, e si lanciano in domande, quasi richieste.

Devono migliorare le loro tecniche di conservazione e anche rifornirsi di materiali più adeguati, anche in considerazione del clima diverso. Sono certa che se Antonello potesse andrebbe a Capo Verde a dare una mano, insieme alla sua squadra. Ma Conserve Italia ha bisogno di lui qui, adesso e ci salutiamo con la promessa di tornare e di fare tesoro di questa visita.

Che ha anche rivelato altri aspetti di questa bella impresa, soprattutto in materia ambientale, tema che ci sta a cuore. L’impegno di Conserve Italia è mirato a minimizzare l’impatto ambientale dei processi e dei prodotti, migliorando continuamente i risultati, rispettando i requisiti di legge e adottando un sistema di gestione ambientale per prevenire, controllare e ridurre l’impatto delle attività, individuando negli stabilimenti principali le responsabilità, formando le persone, definendo obiettivi concreti e misurabili.

E anche questo è un bel ricordo da portare a casa. A conclusione della visita riceviamo tutti una shopper con dei prodotti Cirio, Valfrutta e Yoga. Il Made in Italy viaggia anche così.

 

 

 

 

 

 

 

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L’amore per il Cacao

di Paola Ferrara

Fino a oggi, cioè fin a che non ho conosciuto Nancy, per me il cacao era solo golosità, piacere del gusto, rifugio nei momenti tristi. D’ora in poi avrà invece il sapore della passione per la terra, del lavoro che può dare dignità, del riscatto. Nancy e Jaime ci guidano tra sentieri fangosi – è la stagione delle piogge – della loro piantagione, tra migliaia di alberi di cacao, qualche platano, qualche banano e qualche pianta di coca. Queste ultime – ho scoperto – le trovi dappertutto, sono come l’ortica da noi e passando puoi prendere una foglia e masticarla per i suoi effetti curativi e calmanti. Ma questa è un’altra storia. E’ una meraviglia per gli occhi vedere centinaia di baccelli colorati appesi a piante piuttosto tozze: ce ne sono di gialli e di rossi con striature fucsia, verdi, arancio. Impossibile credere che da li si arrivi alla cioccolata calda …

Nancy ne prende uno e lo chiama 67, perché ogni colore è una specie e ogni specie ha un nome, anzi un numero. Non avevo mai provato tanto calore nel sentire chiamare qualcosa con un numero: lei sembra coccolarlo mentre ce ne racconta la peculiarità.
Questo è il più dolce – dice – adatto a fare la cioccolata più buona, da mangiare. Questo invece è più adatto a fare dolci, quest’altro va ai mercati interni per farne succhi”. Ecco l’altra scoperta: tagliando il frutto – ogni specie si apre in modo diverso, con il machete, sulla pietra o con una lama fissa in terra – ne emerge uno strano frutto bianco e molle che in reatà è un insieme di semi ricoperti da una patina bianca. Quella patina si può mangiare – Nancy ci invita a provare – ed ha un sapore leggermente acido, come un agrume ma dolcissimo allo stesso tempo.
Succhiando la patina, emerge finalmente il seme di cacao che – più tardi vedremo come, nei locali di una cooperativa a La Hormiga– viene lasciato fermentare per una settimana circa, poi seccare per essere finalmente pronto a diventare cacao, quello che conosciamo noi. Mentre parla, Nancy accarezza i frutti, sembra cullarli e ci dice che il ciclo di raccolta è continuo: infatti gli alberi sono colmi e ce ne sono di piccoli e grandi, di minuscole infiorescenze e di già maturi. Nancy e Jaime, altro socio della cooperativa, fanno parte di ASOPROCAF – Asociaciòn de Productores de Cacao la Florida, una delle associazioni che Coopermondo sta sostenendo attraverso il progetto Co.Lo.Res. finanziato da AICS. Sono coltivatori e proprietari di queste terre. Non molti anni fa qui e tutt’intorno si coltivavano solo piante di coca. Questa è quella che chiameremmo una transizione etica oltre che economica, e non è stata facile.

Coopermondo sta facendo un pezzo di strada con loro, e ne siamo felici.

 

 

 

 

 

 

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In viaggio con Colores

di Paola Ferrara

Si parte presto la mattina dall’ufficio di Mocoa, sede del progetto, per raggiungere le iniziative imprenditoriali che Co.Lo.Res sostiene.  Mocoa è la capitale del Putumayo, regione amazzonica a sud del Paese, ai confini con aree ancora oggi turbolente per la presenza di gruppi paramilitari. Grazie al contributo dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo – AICS, Coopermondo ha avviato, a luglio 2022, un progetto che prevede l’accompagnamento e il rafforzamento imprenditoriale di 28 attività, alcune in fase di avvio altre già un po’ strutturate.  Passare dalla lettura delle varie azioni alla pratica tommasea di toccare e vedere rende tutto più reale e tutti più felici.

Come dice Josephine, la nostra instancabile desk, “dopo aver scritto il progetto, immaginandolo e sognandone l’impatto positivo sulle comunità, parlare con queste persone e ascoltare i loro piani di sviluppo regala emozioni incredibili”.  Eh si, perché quando sei seduto nel tuo ufficio, mentre fai le riunioni per preparare la call, oramai quasi tutto dietro uno schermo, quello che tiene vive le emozioni è sapere che tutto si tradurrà in pratiche affidate a chi il territorio lo conosce e sa come farlo crescere.

Donne, giovani, indigeni e afrodiscendenti, con un passato recente di violenza, soprusi e guerra, non ancora dimenticato, sono i protagonisti di questa storia. Che inizia a Bogotà in un giorno di maggio. Anzi, negli uffici di Coopermondo in Italia due anni fa, con la decisione di partecipare al bando. La composizione delle diverse azioni del progetto richiede qualche mese, ma si arriva alla presentazione. Complice il Covid però, la graduatoria delle ONG che si aggiudicano i fondi giunge parecchio tempo dopo. Vinto il bando, Coopermondo e i suoi partner, Cospe – altra ong italiana –  e i colombiani Servicio Nacional de Aprendizaje – SENA, la Confederazione di Cooperative Colombiane -Confecoop, Corpoamazonia e Alianza de Mujeres Tejedoras De Vida – ATV cominciano a mettere insieme la squadra che dovrà implementare le azioni e, entro tre anni, dimostrare ad AICS e ad altri finanziatori che il progetto ha funzionato e che è servito credere nelle speranze di queste persone. La nostra capo progetto in Colombia, Paola ci accoglie a Mocoa con tutta l’equipe: le visite, per chi sta da anni in un Paese straniero a lavorare, spesso senza avere molte occasioni di svago, sono un momento diverso e arricchente. Faticoso di sicuro, perché preparare una visita in contesti rurali, mettendo insieme incontri con i partner, visite ai progetti e logistica – peraltro durante la stagione delle piogge –  non è cosa semplice. Ma tutto fila liscio, persino gli orari vengono rispettati e la delegazione di Coopermondo riesce a trarre il massimo dalla visita.

 

Ma qual è il valore aggiunto di avere il direttore e il presidente di Coopermondo in loco? Cosa pensano i partner e cosa ci portiamo a casa?

Lascio alle parole di Marco Menni, Presidente di Coopermondo e Vice presidente di Confcooperative, questa riflessione. “Il valore degli incontri istituzionali sta tutto nella possibilità di scambiarsi, dal vivo, impressioni e prospettive comuni, insieme alla stretta di mano. Confcooperative, e di conseguenza Coopermondo, che è il suo braccio operativo nei contesti meno sviluppati, è molto conosciuta e apprezzata tra gli attori dell’economia sociale colombiana e ribadire la nostra vicinanza, il sostegno ai progetti, la volontà di collaborare alla nascita e/o al rafforzamento dell’economia cooperativa e associazionistica, è un dovere”. Dagli uffici passiamo ai campi, dove piscine piene di tilapia (un pesce amazzonico), coltivazioni di chontaduro o di cacao hanno sostituito quelle di coca, ed è un’esperienza di grande impatto.  “Le attività sono piccole certo, nulla a che vedere con le grandi cooperative agricole italiane, ma significative oltremodo. Molti di questi campesinos hanno scelto (in alcuni casi non volontariamente) di cambiare colture, rischiando la fame e la povertà. A loro dobbiamo rispetto oltre che tutto il sostegno possibile”.  Qualcuno ci sta riuscendo, molti progetti simili a quello di Coopermondo, sono nati dal 2000 in poi per aiutare i contadini a diversificare colture, ad avviare programmi di transizione per “liberarsi” dalla schiavitù della hoja de coca che significa essere parte di un traffico illecito e di mercati illegali, ma anche essere pedina nelle mani di cartelli violenti e senza scrupoli. Alcuni ne parlano in maniera naturale, altri cambiano argomento. La foglia di coca cresce ovunque, fa parte di questa cultura, ha usi medicinali importanti, viene masticata come da noi si faceva col tabacco.  Eppure, oggi è al bando per la trasformazione in prodotto destinato a mercati illegali e pericolosi e anche l’uso terapeutico che ne fanno i locali verrà censurato dal tempo e dalla scomparsa di queste piante. Ed è contro la scomparsa di piante e frutti autoctoni che una parte del progetto Co.Lo.Res. è dedicato. Galeano diceva che l’America Latina non ha subito solo il saccheggio dell’oro e dell’argento, del caucciù e del rame. Ha sofferto anche dell’usurpazione della memoria, condannandola all’amnesia da parte di coloro che le hanno impedito di essere.  Mi torna in mente mentre ascolto i racconti di questa gente, colombiani che nel pieno della selva amazzonica stanno facendo rinascere frutti che erano stati dimenticati. Peggio, avevano lasciato il posto alla “hoja de coca”. Ne assaggiammo alcuni. Sapori per noi sconosciuti che qui significano storia, cultura, vita.  Nancy, Jaime, Claudia e tutti gli altri coltivatori incontrati in questo viaggio stanno tirando fuori le radici dalla loro terra per rimetterle in tavola.

E così nei piatti ci sarà da mangiare e da ricordare.

Penso che Galeano sarebbe contento.